La lettura di febbraio 2023 è “I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni.

Una faina, attraverso il racconto della sua esistenza, ci porta a riflettere sul senso della vita e sul nostro rapporto con la morte.

La scrittura è cristallina, il racconto è duro “come la schiena di chi sta per ricevere un colpo”, forse c’è troppo.

Di sicuro in queste pagine, anche se viene nominato spesso, non c’è Dio ma solo il tentativo di autoassolversi da errori più o meno inevitabili.

Come succede a volte, ci dividiamo in due squadre: chi ha trovato il romanzo illuminante e si è immerso nella trama e chi invece ha fatto fatica ad appassionarsi a una storia popolata da volpi, tigri e istrici invece che di umani.

Su una cosa siamo tutti d’accordo: Solomon la volpe è un mafioso!

Qualcuno ha visto il ritratto di una natura crudele, finalmente raccontata senza i filtri addomesticanti dell’uomo.

Qualcun altro non ha avuto dubbi: la pelliccia e le piume sono solo i travestimenti sotto i quali ci nascondiamo per non vedere la malvagità animale che fa parte di tutti noi.

C’è umanità nel poliziotto che prende a manganellate uno studente, nella mano che strangola, nella passante che si volta dall’altra parte? Se la risposta è sì, allora anche quei gesti vanno guardati, raccontati, compresi e non giudicati.

Che la lettura sia stata più o meno piacevole, dà comunque il via a una discussione che porta lontano, più lontano ancora dei campi di Zò.

Ci sono i ricordi di un bambino che non riesce a considerare la morte come qualcosa di così naturale da essere gioia, fino a che non la guarda davvero da vicino.

Ci sono le solitudini con cui si impara a convivere.

C’è il tempo, che ci inganna con i rimpianti del passato e l’attesa del futuro per impedirci di capire che viviamo solo nel presente.

Ah sì, ci sono anche i finali aperti, le domande senza risposta, e i nostri stupidi intenti: scappare, come tutti, dall’inevitabile.

Il testo per gennaio 2023 è “La tua seconda vita comincia quando capisci di averne una sola” di Raphaelle Giordano.

Abbiamo scelto questo libro perché, dopo alcune letture impegnative, sentivamo il bisogno di un po’ di leggerezza.

E, in effetti, la scrittura è scorrevole e la storia piena di ottimismo.

Camille ci fa essere spettatori del suo percorso di cambiamento, verso una felicità il cui raggiungimento è troppo spesso ostacolato solo da noi stessi.

Sono stati pochi fino ad ora i libri che hanno polarizzato così tanto le opinioni del gruppo.

Ad alcuni è piaciuto tantissimo. Hanno trovato accattivante la trama e hanno colto degli insegnanti importanti, utili da condividere con più persone possibile.

Per altri invece è un saggio sul “pensiero positivo” mascherato, neanche troppo bene, con una storia zuccherosa, quasi adolescenziale.

Altri ancora non hanno apprezzato vedere il pensiero orientale piegato al servizio del capitalismo, diciamo un Confucio (da una cui massima è tratto il titolo) in completo Gucci.

Di fatto, i più critici verso il testo sono anche i più critici verso il “pensiero positivo”, vero motore del cambiamento della protagonista.

C’è chi pensa sia un messaggio pericoloso, che – deresponsabilizzando la società, la politica, i fattori esterni – mette il peso del successo/insuccesso solo sulle spalle dell’individuo. Ciò genera frustrazioni più che successi, con persone sempre pronte a colpevolizzarsi se non raggiungono i propri obiettivi.

La storia di Camille è vista come troppo lineare, senza inciampi, senza quella sofferenza che renderebbe più verosimile la sua evoluzione.

Ancora sofferenza? Ma non volevamo una lettura leggera?

Comunque sia, il libro ha aperto una discussione profonda su quanto siamo disposti a metterci in gioco, a rinunciare alle nostre abitudini, a lavorare su noi stessi e a riconoscere che siamo, a volte, i nostri peggiori nemici.